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UFC e globalizzazione. L’analisi di come le MMA siano arrivate in ogni angolo del pianeta

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Il successo di uno sport è dato da molteplici fattori. Quello che però lo rende “planetario”, inteso nell’accezione più completa del termine, è la sua capacità di avere rappresentanti in tutti gli angoli della terra.

Una mission che alle mixed martial arts sta riuscendo sempre meglio grazie al processo di globalizzazione attuato da UFC.

Oltre al grandissimo lavoro di marketing e di produzione che ha permesso al brand di diventare popolare in tutto il mondo, a rafforzare il concetto sono stati anche i risultati degli atleti che ci dicono che, nella storia della promotion, c’è stato almeno un campione in rappresentanza di ogni singolo continente.

Addirittura prima che la cinese Weili Zhang perdesse il titolo contro Rose Namajunas a UFC 261, Africa, America, Europa, Asia e Oceania erano tutte rappresentate contemporaneamente da almeno un campione.

Sebbene qualche malizioso potrebbe obiettare sostenendo che all’appello manchi l’Antartide, l’evoluzione commerciale avvenuta negli ultimi anni in UFC ci induce a pensare che un giorno, dopo la suggestione Fight Island, non è escluso che Dana White porti un ottagono anche in mezzo ai ghiacci o che diventi campione un atleta proveniente da Villa Las Estrellas o da Esperanza, gli unici due centri abitati da civili a quelle latitudini.

E non ci sarebbe nemmeno tanto da sorprendersi perché dieci anni fa, per esempio, era impensabile avere un campione africano e invece oggi l’Africa è proprio il continente più in ascesa con ben tre campioni.

C’è il nigeriano nonché incontrastato re dei pesi welter Kamaru Usman. C’è un secondo fenomeno nigeriano come Israel Adesanya, l’attuale campione dei pesi medi che dovrà vedersela con Marvin Vettori il prossimo 12 giugno. E poi c’è il camerunense Francis Ngannou, il più recente ad entrare nel club grazie all’ultima vittoria contro Stipe Miocic che gli ha permesso di conquistare la corona dei pesi massimi.

Nel resto delle divisioni c’è una situazione abbastanza equilibrata, in netta controtedenza con il passato, quando l’America dettava legge grazie al dominio di statunitensi e brasiliani.

Oggi invece gli USA sono rappresentati solo da due campioni: Aljamain Sterling, che detiene la cintura dei pesi gallo, e Rose Namajunas, fresca vincitrice del titolo pesi paglia femminile. È tornato in auge anche il Brasile che, dopo un periodo di magra, può consolarsi con la double champ Amanda Nunes e il detentore del titolo pesi mosca Deiveson Figueiredo.

A quota due anche l’Europa, che può contare sul campione dei massimi leggeri Jan Blachowicz e sulla campionessa dei pesi mosca Valentina Shevchenko.

L’Oceania invece è rappresentata dall’attuale campione dei pesi piuma Alexander Volkanovski.

Manca all’appello solo l’Asia ma, come vi abbiamo raccontato, il primato è stato perso di recente dopo la caduta di Weili Zhang contro Rose Namajunas.

Questo ovviamente riguarda solo i campioni. Perché per ciò che concerne gli atleti presenti nel roster siamo di fronte ad una vera e propria società multiculturale composta da fighter provenienti davvero da ogni angolo della terra.

Egitto, Galles, Colombia, Mongolia, Suriname, Turchia, Angola, Georgia, Francia, ovviamente la nostra Italia e una sfilza di altri Paesi: oggi l’ottagono UFC è decisamente il centro del mondo.

In scenari come questi c’è una frase che torna sempre in voga e che appare più che azzeccata. La frase è: “The sky is the limit” (il cielo è il limite).

Niente di più vero perché la terra è già stata conquistata.

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