UFC Focus: Luke Rockhold, l’ultimo ruggito
22 Agosto 2022 0 Di Riccardo ColellaUtah, Salt Lake City. La “Città del lago salato”, proprio come le lacrime che Luke Rockhold ha lasciato scorrere dentro l’ottagono al termine del match che lo ha visto opposto a Paulo Costa, nel co-main event di UFC 278. Tre round di fuoco, al limite di ogni resistenza fisica. E tacciano quegli stolti il cui occhio non è stato in grado di fotografare l’intensità con cui i due atleti si sono affrontati l’altra notte. Borrachinha è un avversario scomodo per chiunque e Rockhold lo sapeva bene. La gabbia, però, è un richiamo irresistibile e quello che brucia l’anima di un fighter è un fuoco che arde senza sosta, anche se hai trascorso gli ultimi tre anni della tua vita a nasconderti da quello che sei. E allora ti dedichi al surf, a domare stalloni nei ranch e a posare come modello per le migliori griffe. Cerchi qualsiasi diversivo pur di non tornare con la mente a quel fatidico 4 giugno del 2016, notte in cui tutto è cambiato.
Ovviamente non abbiamo modo di conoscere i pensieri che si sono aggrovigliati nella testa di Luke Rockhold dopo la sconfitta incassata contro Michael Bisping a UFC 199. Quello che è palese, però, è come proprio quella débâcle, con conseguente perdita del titolo, abbia scosso profondamente l’ex campione dei pesi medi UFC e Strikeforce, tanto da sembrare un altro lottatore rispetto al Golden Boy che sconfisse Lyoto Machida, Chris Weidman e lo stesso Bisping.
Tre anni sono un arco di tempo che taglia il fiato e ti annebbia la mente. Era il 6 luglio del 2019 e il californiano trovò in Jan Blachowicz l’avversario ideale per debuttare nei massimi leggeri. Il risveglio fu brusco e il sogno divenne incubo quando il polacco si aggiudicò la contesa al secondo round per KO. Le aspettative c’erano tutte ma quello che è mancato è stato proprio lui, Luke Rockhold. Da allora, l’atleta di Santa Cruz si è preso i suoi tempi, cercando di ritrovare sé stesso, fino al match con Paulo Costa. Erano in tanti, tantissimi a darlo per spacciato già dal primo round. Ma un leone rimane un leone, sempre pronto a piazzare la zampata decisiva. All’inizio dell’incontro, Rockhold ha alternato momenti di lucidità ad altri assai meno brillanti.
Respirava a bocca aperta, a fatica. Forse l’eredità del lungo stop era davvero così pesante. Tuttavia non sono mancati i middle kick e gli spinning back kick piazzati con notevole precisione e potenza, così come i momenti di puro striking e di lotta a terra. Un match nel quale entrambi i contendenti non si sono risparmiati, arrivando ad offrire uno spettacolo degno del più cruento scontro tra gladiatori. Fight of The Night per il vecchio leone. Azzoppato, affaticato, confuso ma sempre pronto ad aggredire l’avversario.
“Non sa difendere”, ha detto qualcuno. “Ha il mento di cristallo”, hanno chiosato altri. “È bollito”, hanno sentenziato gli pseudo esperti. La risposta più dannatamente romantica che un lottatore come lui avrebbe mai potuto partorire, ha lasciato tutti di stucco. Luke Rockhold si è strappato quell’ingombrante maschera da arrogante, saccente e vanitoso, e si è messo a nudo, difronte a quel pubblico che gli ha dato tutto nel corso della sua carriera. Via i guantini e, sopraffatto dai singhiozzi, ha semplicemente confessato al microfono di Joe Rogan quello che gli balenava nella testa da un po’. “Ne ho passate tante negli ultimi tre anni, grazie UFC. Non posso più fare questa merda. Sono fottutamente vecchio”. Mai banale Luke Rockhold. È stato un piacere assistere al suo ultimo ruggito.
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Info sull'autore
Giornalista ed infimo quanto discontinuo praticante di bjj, pugilato e muay thai. Scrivo di cinema e sport da combattimento quando non ascolto vinili. Il 23 settembre è uscito il mio libro "Professione Fenomeni".